Basilica concattedrale di Sant’Agata

Descrizione

«[…] “la costruzione a croce latina della nuova Cattedrale di Gallipoli, dovuta al genio di G. Bernardino Genuino, aspira ad un effetto di grandiosità rinascimentale.., rilevando il passaggio da una sensibilità quattrocentesca ad una cinquecentesca”[…]»
(M. Calvesi e M. Manieri)

Si trova al centro e nel punto più alto dell’isola, sito probabilmente destinato ad area sacra sin dall’antichità. Per l’opera furono chiamati i costruttori locali Francesco Bischettimi e Scipione Lachibari, i quali seguirono il disegno dell’intera fabbrica realizzato da Giovan Bernandino Genuino. A causa dell’elevato numero di tele può essere considerata una vera e propria Pinacoteca. È una chiesa barocca del XVII secolo, riedificata in sostituzione dell’antica chiesa romanica intitolata a san Giovanni Crisostomo. Il canonico della cattedrale D’Elia sostenne che la Basilica risaliva al XII e quindi doveva avere uno stile normanno romanico-pugliese. Nel 1629 si distrusse l’antico tempio e si pose la prima pietra della nuova Chiesa, alla presenza dell’arciprete Michele di Valandia, alto prelato del Capitolo, supplente del vescovo Rueda assente. Fondamentale fu la donazione fatta a tal proposito dal medicofilosofodocenteletterato di Gallipoli Giovanni Giacomo Lazzari. Un’iscrizione posta dall’allora vescovo di Gallipoli Oronzo Filomarini (posta oggi sopra l’entrata della sacrestia) spiega l’origine della Cattedrale, un tempo dedicata a San Giovanni Crisostomo.

Testo in italiano dell’iscrizioneTesto in latino dell’iscrizione
Questo tempio una volta (era dedicato) a Giovanni Crisostomo, in seguito a Sant’Agata dopo la scoperta della sua mammella nell’Anno del Signore 1126Templum hoc olim divo Joanni Chrysostomo, postea divae Agathae post eius mamillae inventionem anno domini 1126

Prospetto

«[…] “la Chiesa Cattedrale di Gallipoli, vanto del genio di un architetto locale, G. Bernardino Genuino, è una colossale opera d’arte, storia vivente della Città scritta nella pietra” […]»
(Canonico del Capitolo Cattedrale Sebastiano Verona)

Il prospetto, in carparo, è diviso in due ordini. Il primo si presenta scandito da leseneparaste scanalate di ordine dorico intervallate dai portali di accesso alle navate e dalle nicchie contenenti le statue di sant’Agata, di san Fausto e di san Sebastiano. Sotto alla statua di san Sebastiano è presenta la scritta latina: «ISTEQUE MORBO L1BERAT URBEM». Il secondo, per cui furono adottate soluzioni fornite dall’architetto leccese Giuseppe Zimbalo, ospita, in corrispondenza delle due nicchie presenti nel piano inferiore, altrettante nicchie, inquadrate da decorate cornici leggermente timpanate, in cui trovano sistemazione le statue di santa Marina, a sinistra, e di santa Teresa d’Avila, a destra. Fra le due paraste ioniche si apre un grande finestrone a nido d’ape mentre sui riccioli delle volute di raccordo sono impostati i busti dei santi Agostino e Giovanni Crisostomo. Il prospetto culmina con un frontone su cui è posta la data 1696, anno in cui venne completato.

Campane

La Chiesa Cattedrale non è dotata di una torre campanara: le tre campane(in passato quattro) sono infatti poste sulla terrazza e montate sul fronespizio con delle aperture (si parla per questo di campanile a vela). La torre che è adiacente alla Basilica Cattedrale è invece la torre civica, composta da due campane che scandiscono però la vita civile. In passato vi erano due campanili asimmetrici: quello di sinistra era composto da tre piani e da aperture bifore; terminava con un campanone e con due battitori delle ore; quello di destra aveva dimensioni maggiori e composto da ben cinque piani e terminava con un’estremità a cupola con una croce.

NomeIscrizione latinaAnno
CampanoneMODERANTE ECCLESIAM BENEDICTO XIV IMPERANTE IN REGNO AMBAR SICILIARUM CAROLO BORBONIO REGE. GALLIPOLIT. SEDEM ARCHIEPISCOPO ANTONIO MARIA R. A. PISCATORI LT MANTECAZA A. D. MDCCXLII. SANCTUS DEUS. + SANCTUS FORTIS + SACTUS IMMORTALIS + MISERERE NOBIS + PER IPSUM + CUM IPSO + ET IN IPSO + EST TIBI DEO PATRI OMNIPOTENTI IN UNITATE SPJRITUS SANCTI + OMNIS HONOR + ET GLORIA AMEN + 1744.1744
II campanaAES SACRUM CAMPANAE QUOD IN HONOREM VIRGINIS MARIAE DEI PARENTIS IMMACULATAE AB OMNI LABE ORIGINALIS CULPAE IN SUA INTEGERRIMA CONCEPTIONE EX ANIMO DEVOTE SACRAVIT ILL. ET RLV. EPISC. D. ANTONIUS LA SCALA A. R. 5. MDCCCLVI IN CATHEDRALI GALLIPOLITANA.1856
III campanaCAIETANO MULLER EPISCOPO ET R. SUBECONOMO F. D’ELlA CURANTE. FRANCISCUS OLITA A.D. 1899 LYCII REFUNDIT ME FRACTAM QUAM MICHAEL OLITA EIUS PROAVUS CAROSINI FUDERAT A.D. 18641899
IV campanaGiuseppe Olita da Lecce fuse 1895. (non più esistente)1895
IV campanaOPUS AFFABRE EXCUDIT NICOLAUS GIUSTOZZI TRANEN1935

[7]

Interno

Facciata della Basilica Cattedrale negli anni Trenta del ‘900

Il valtellinese Pietro Maisen nel suo libro “Gallipoli e suoi dintorni illustrati da Pietro Maisen Valtellinese” afferma che “la Cattedrale può a buon diritto dirsi uno dei santuarj meno indegni che la mano dell’uomo abbia potuto innalzare al Creatore”[8]. L’interno, a pianta a croce latina, si compone di tre navate separate da dodici colonne doriche. A rendere solenne la struttura è la presenza di dodici altari barocchi così distribuiti:

  • Sant’Isidoro
  • San Francesco di Paola
  • Epifania o Adorazione dei Magi
  • Madonna della Grazie
  • Sant’Agata
     “Sant’Agata” di Giovanni Andrea Coppola
  • San Sebastiano
     “San Sebastiano” di Nicola Malinconico
  • Immacolata Concezione
  • Anime del Purgatorio
  • Assunta
  • Incoronazione di Maria

nel transetto:

  • Madonna del Soccorso
  • Santissimo Sacramento

Nell’altare del SS.Sacramento (tutto in marmo comprese le colonne realizzate dal vescovo Filomarini) vi sono due sepolcri. Il primo custodisce i corpi di tutti i vescovi gallipolini e vi è la seguente iscrizione:

«EPISCOPORVM OMNIUM HUIUS CALLIPOLITANE ECCLESIAE HIC SITVS IN PEPVLCRO QUIESCVNT QVOD ILLVSTRISS:ET REVERENDISS:DOMINVS D.IOANNES MONTOYA DE CARDONA EJVSDEM ECCLESIAE EPISCOPVS REGIVSQVE CONSILIARIVS VT QVI IN VNA EADEMQUE PRAEFVERVNT ECCLESIA VNO EODEMQVE TEGERENTVR A LAPIDE FIERI CVRAVIT ANNO DOM. MDCLXII»

L’ultimo vescovo ad essere sepolto nel sepolcro della Cattedrale è stato Vittorio Fusco, il quale scelse volutamente la città di Gallipoli, pur essendo morto a Nardò.

Sinodo nella cattedrale, presieduto dal vescovo Nicola Margiotta

L’altro sepolcro appartiene invece alla famiglia Balsamo. La pittura è l’indiscussa protagonista. Le tele conservate nella concattedrale ne fanno una vera e propria pinacoteca. La decorazione si deve in massima parte al pittore gallipolino Giovanni Andrea Coppola. Questi, dopo aver adattato ad uno dei nuovi altari il dipinto di Gian Domenico Catalano, raffigurante la Madonna col bambino tra Sant’Andrea e San Giovanni Battista (IV altare a sinistra), inserendolo in un’ampia cornice con Storie dei Santi, dipinse sei grandi pale d’altare: Il miracolo di San Francesco di Paola (II altare a sinistra), l’Adorazione dei Magi (III altare a sinistra), le Anime del Purgatoro (III altare a destra), l’Assunzione della Vergine (II altare a destra), il Martirio di Santa Agata (nel braccio sinistro del transetto) e San Giorgio (nel braccio destro del transetto). A rendere più suggestivo il tempio, sono le navate minori che constano di 12 altari nel transetto.[9]

Madonna col bambino tra Sant’Andrea e San Giovanni Battista, opera di Gian Domenico Catalano.

Nel XVIII secolo la cattedrale, grazie alla volontà del nuovo vescovo, il napoletano Oronzo Filomarino, fu oggetto di trasformazioni che ne completarono l’arredo interno in chiave barocca. Il Filomarini volle a Gallipoli Nicola Malinconico, valente pittore napoletano, divulgatore delle ampie scenografie giordanesche. A lui si devono la grande tela de La cacciata dei mercanti dal tempio sulla controfacciata, episodi del Nuovo e Vecchio Testamento sulle pareti e nella volta del coro; il Martirio di San Sebastiano, nel braccio destro del transetto, e due cicli di tele dedicate alla Vita di Sant’Agata (sul soffitto) e alla Storia del rinvenimento della mammella della Santa (nella navata centrale, tra i finestroni). Carlo Malinconico, figlio di Nicola, oltre a ritoccare e riadattare alcuni dipinti del padre e firmare una Visitazione nel transetto, completerà l’apparato iconografico della chiesa con la serie degli Apostoli, degli Evangelisti, delle Virtù e dei Dottori della Chiesa. Nel presbiterio, delimitato da una balaustra marmoria, s’innalza un maestoso altare maggiore in marmi policromi opera dell’artista bergamasco Cosimo Fanzago. Intorno alla macchina d’altare sono la cattedra vescovile ed il grande coro in legno di noce con quarantuno stalli. Tra gli altri arredi degni di nota sono il pulpito, intagliato dal tedesco Giorgio Aver, e il fonte battesimale. A dominare la cattedrale è una tela posta sopra l’altare maggiore (nella cupola della crociera nel transetto) è il Martirio di Sant’Agata, un’opera eseguita da Nicola Malinconico; essa ricopre più di 100 metri quadrati, ed è molto simile allo stile di Luca Giordano, suo maestro.

Il Capitolo Cattedrale di Gallipoli

Il capitolo dei canonici della Basilica Cattedrale di Gallipoli vanta origini antichissime e risalirebbe alle origini della omonima diocesi (VI secolo). Nell’Ottocento il capitolo era costituito da diciannove canonici tra cui emergevano sette dignità in questo ordine: Arciprete, Arcidiacono, Decano, Cantore, Tesoriere, Primicerio ed infine il Preposito; i rimanenti erano i cosiddetti canonici semplici (come il penitenziere). Altri diciotto sacerdoti si definivano cantori, in quanto occupavano gli stalli del coro coadiuvando i canonici effettivi.
Altri cinque erano definiti amovibili poiché nominati direttamente dal vescovo: il loro principale ufficio era quello di cantare i canti gregoriani; gli altri tre sono i cappellani. Il capitolo completo era rappresentato quindi da trentasette individui. Sino al 1741 i canonici vestivano con una cotta, una mozzetta di lana di color nero. Le dignità sono riconoscibili per la mozzetta violacea. Tutti gli altri componenti vestivano solo una cotta bianca.
A partire dall’anno 1741 il pontefice Benedetto XIV fece delle riforme relative all’abbigliamento del capitolo dei canonici: da questa data in poi vestiranno un rocchetto con maniche strette e lunghe e su di esso la cappa magna di lana violacea con cappuccio. Durante l’inverno indossano una pelle bianca di coniglio. Oggi il capitolo della Pontificia Basilica Concattedrale è costituito da quattro canonici, capeggiati da un presidente-primicerio-teologo.

Coro, cattedra, presbiterio

Tre sono le tele che imponenti occupano il coro, ma la più importante e senza dubbio quella ritraente “Il sepolcro di Agata”, la grande tela centrale di Nicola Malinconico: come si deduce dallo stesso nome, viene rappresentato qui il sepolcro della santa martire. Sono numerose le figure che sono vicino alla tomba, segnate indelebilmente dalla pietas cristiana, ma tra di esse spicca quella di una figura celestiale che sta per inserire nel sepolcro una tavola recante la seguente iscrizione:”Mentem Sanctam Spontaneami Honorem Deo et Patriae Liberationem” cioè “Agata spontaneamente e santamente si era votata ad onorare Dio e a ottenere la liberazione della sua patria”. Il Malinconico ha ritratto una scena relativa all’anno dopo la morte della santa, quando i catanesi si rivolsero al sepolcro per arginare l’eruzione dell’Etna. Le altre due tele (sempre del Malinconico) sono la Guarigione del vecchio paralitico e L’Ingresso di Gesù in Gerusalemme caratterizzare da un estremo realismo: sulle figure è adagiato un vestito morbido e leggero con panneggio. Alle spalle dell’altare maggiore della Basilica Cattedrale si erge il coro ligneo iniziato nel 1706 e terminato un anno dopo, su iniziativa del vescovo Oronzo Filomarini; furono sistemati “…i sedili disposti a tre ordini, lavorati in legno di noce con eleganti intagli, fiorami ed altri fregi da un celebre artista tedesco, Giorgio Aver.[10] Il coro è composto da cinquantuno stalli e al centro campeggia la cattedra vescovile, molto più decorata rispetto agli altri stalli, intagliata, con numerose paraste in legno di noce, putti e con lo stemma episcopale di Filomarini con i cordoni. La cattedra episcopale è sormontata dal baldacchino sagomato completata dagli scranni riservati alle principali Dignità del Capitolo Cattedrale.

Reliquia di San Fausto

La Cattedrale di Gallipoli è conosciuta anche perché conserva la reliquia di San Fausto. Inizialmente essa apparteneva al cardinale Gaspare de Carpineo, vicario generale di Papa Innocenzo XI, successivamente la donò al cardinale Mario Albrizio. Il 6 aprile 1679, lo consegnò ad Onofrio Castellana, tesoriere della Cattedrale di Gallipoli e infine andò nelle mani del vescovo Antonio Perez della Lastra. La cerimonia ufficiale avvenne nella sagrestia della stessa basilica al cospetto di alti prelati, di canonici, di docenti universitari e del sindaco; il vescovo Della Lastra sciolse il sigillo e nel 1681 si portò processionalmente per le vie della città per poi essere collocato in una cassetta di legno dorato e argentato. La cassa fu chiusa con tre chiavi possedute dal vescovo, dal canonico e dal sindaco[11].

Reliquia di Sant’Agata

Una tradizione diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a Gallipoli. Si dice che l’8 agosto del 1126 sant’Agata apparve in sogno a una donna che si era addormentata dopo aver lavato i panni nella spiaggia della Purità a Gallipoli e avvertì che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra: era la mammella della Santa. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo, che celermente giunse nella spiaggia insieme ad altri ecclesiastici. Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant’Agata. Essa rimase nella basilica fino al 1380, anno in cui Balzo Orsini, Principe di Taranto la trasferì furtivamente, nel Monastero di Santa Caterina D’Alessandria a Galatina, dove attualmente è custodita. Numerosi sono stati i tentativi per portare l’insigne reliquia nella propria città, ma altrettante sono state le vicissitudini in quanto lo stemma civico di Gallipoli presente sul basamento, è stato cancellato, come per cancellare ogni traccia della provenienza. Nel 1494 Re Alfonso II d’Aragona ordinò che fosse posta sotto la custodia del Castellano di Lecce e i Padri Olivetani protetti da Re Alfonso, si adoperarono affinché la Reliquia tornasse nuovamente in S. Caterina a Galatina, dove si trova tuttora[12]. Secondo il vescovo gallipolino Montoya de Cardona la reliquia fu trafugata furtivamente dagli abitanti di Galatina “ex auctoritate” e fu “rubata furtivamente e all’insaputa dell’Università gallipolitana”. Numerosi sono stati i tentativi dei gallipolini di riportare nella Concattedrale di Sant’Agata la reliquia, a partire dal vescovo Gaetano Muller, il quale scrisse una lettere al Cardinale prefetto dell’epoca, fino ad arrivare ad Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista. Sono state scritte delle lettere per sollecitare il vescovo di Otranto (da cui dipende Galatina) Mons. Donato Negro a restituire la sacra reliquia ora a Galatina, città che non ha alcun diritto a detenerla.[13][14]

Sacra Sindone

La sindone è un lenzuolo di lino su cui è impressa l’immagine autentica del Cristo. Il vescovo della diocesi di Gallipoli di origine spagnola Sebastiano Quintiero Ortiz donò durante il suo episcopato una singolare copia della Sacra Sindone di Torino (una delle cinque al mondo) alla Chiesa Cattedrale. Essa fu realizzata molto probabilmente a Torino e misura 4,10 di lunghezza e 1,4 metri in larghezza; l’impronta di Gesù è di 1,78 metri. Il suo prestigio è dovuto anche al fatto che il vescovo Ortiz la fece posare sull’originale di Torino, esposta nella Cappella di San Lorenzo per la visita di San Carlo Borromeo. Ogni venerdì di Quaresima, oltre alla succitata sindone, viene esposta una reliquia che contiene un pezzo di legno della Croce con lo stemma del vescovo Zelodano, 38º vescovo della città.[15] Durante il periodo ordinario è osservabile nel Museo diocesano di Gallipoli. È da considerarsi tuttavia una vera reliquia di III classe in quanto è entrata in contatto con reliquie di I classe (oggetti direttamente associati alla vita di Gesù Cristo).

Museo diocesano di Gallipoli

Adiacente alla basilica cattedrale di Gallipoli, è presente il Museo diocesano di Gallipoli. Nacque nel 2004 con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana, dell’Unione europea, della Regione Puglia e della diocesi stessa. L’edificio in cui è situato è l’antico palazzo del seminario costruzione barocca del 1750. Il palazzo del seminario, su indicazione del concilio di Trento, fu voluto dal vescovo De Ruenda. Il progetto elaborato fu ripreso dal vescovo Serafino Brancone. Alla costruzione contribuì il comune della stessa città con una donazione di 300 ducati e dopo aver venduto alcuni beni appartenenti all’abbazia di San Mauro di Sannicola. Il 16 marzo 1752 fu posta la prima pietra di costruzione, ad opera di mastro Adriano Preite da Copertino. Il palazzo fu terminato nel 1756 ed inaugurato nel 1760 dal vescovo Ignazio Savastano. L’esterno è riccamente decorato con una squisita grazia barocca con temi e motivi ripresi poi da altri palazzi di Gallipoli, come palazzo Doxi. Dal 12 luglio 2004 è sede del museo diocesano: contiene numerosi dipinti, quadri, tesori e paramenti ecclesiastici del 1600-1700 oltre ai busti argentei di sant’Agata e san Sebastiano, patroni gallipolini. All’interno del museo sono presenti numerosissime collezioni di paramenti sacri, campane, arredamenti, tele, le statue argentee-dorate dei santi protettori oltre all’imponente baldacchino, appartenuto a mons. Oronzo Filomarini, vescovo dal 1700 al 1741.

Antica sede della Diocesi di Gallipoli[Gallipoli è stata sede fissa vescovile fino al 1986 quando venne accorpata alla più giovane chiesa neretina

Il 30 settembre 1986, con il decreto Instantibus votis della Congregazione per i vescovi, le due sedi di Nardò e di Gallipoli furono unite plena unione e la nuova circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome di Diocesi di Nardò-Gallipoli. Da quel giorno vi è una condivisione della cattedra gallipolina e neretina anche se Gallipoli rimane sede ordinaria e non occasionale dell’attività del vescovo.[non chiaro]

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